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Eccoci di nuovo al primo dicembre, il giorno dedicato alla lotta all’AIDS. Quest’anno l’attenzione è polarizzata su altri problemi, l’Ebola, ad esempio, che si sono presi le prime pagine: senza nulla togliere alla loro importanza, non si può non utilizzare fino in fondo l’opportunità che una ricorrenza come questa offre per rompere l’imbarazzante silenzio che sull’AIDS è calato negli ultimi tempi.

L’individuazione di una cura, non risolutiva, perché non in grado di eliminare il virus, ma solo di bloccarne la replicazione, ha relegato nel sentire di molti l’AIDS tra i problemi del passato. Ma quale passato! I dati appena sfornati da UNAIDS, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa della malattia, ci dicono che le persone che nel mondo vivono con l’infezione da HIV sono oggi più di 35 milioni e continuano ad aumentare. Di AIDS si muore di meno, ma i morti stimati nel 2013 sono stati comunque almeno un milione e mezzo. Nel mondo ogni ora nascono due bambini con l’infezione e ogni due minuti ne muore uno, gli adulti che muoiono sono ancora quasi 5.000 al giorno. In un mondo senza vaccino è la terapia a rappresentare non solo la via per mantenere in vita e restituire ad un’esistenza normale le persone colpite, ma anche lo strumento più valido di prevenzione: meno virus circola per effetto delle cure, meno persone potranno infettarsi. Ancora oggi nel mondo tre persone su cinque tra quelle che dovrebbero essere curate non hanno accesso alle cure. In certi paesi gli esclusi dalle cure sono ancora di più, fino ad arrivare al 64% dell’India e all’80% della Nigeria. Nel mondo AIDS e povertà vanno a braccetto, e nei paesi poveri i bambini continuano ad essere le vittime per eccellenza, sia quelli resi orfani dalla malattia, sia ‘quelli orfani di cure’: l’ultimo rapporto UNAIDS stima che dei bambini che dovrebbero ricevere un trattamento per HIV solo il 24% venga effettivamente curato.

In Italia almeno 2000 persone continuano ogni anno ad infettarsi. La trasmissione è prevalentemente per contatto sessuale e sono colpite tutte le fasce d’età ed entrambi i sessi. Come nel resto del mondo occidentale, i giovani maschi che fanno sesso con maschi sono di nuovo più a rischio, per un calo di attenzione nel proteggersi. Un malinteso senso di sicurezza ha fatto dimenticare un po’ a tutti, maschi e femmine, giovani e meno giovani la necessità di proteggersi nei rapporti sessuali occasionali, ed il progressivo dissolversi delle campagne di prevenzione non ha certo aiutato a mantenere l’attenzione ai livelli opportuni.

Detto tutto questo, vi pare che si possa dire che l’AIDS è storia vecchia? Che è ormai sotto controllo? Che non è più un nostro problema? E che basti parlare di AIDS e di prevenzione solo una volta all’anno?

Professor Massimo Galli

Medico immunologo, infettivologo e internista, è direttore della Divisione di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano e della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive dell’Università di Milano. Da tempo è membro della Commissione Nazionale AIDS del Ministero della Salute. Vice-presidente di Anlaids Lombardia, è membro del Consiglio di Presidenza di Anlaids Nazionale.

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